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Alla ricerca del calcio ( e del denaro) perduto

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C’è un aspetto tra il comico e il paradossale nella situazione attuale del nostro calcio: tutti gli indicatori segnano il ribasso, come per il resto del Paese, ma nessuno vuole tenere insieme le cose. Dico, per esemplificare, di Zvonimir Boban che ha sentenziato in tv domenica sera, alla faccia di tutti gli imbonitori pallonari che ci perseguitano e con noi schiaffeggiano senza remore la lingua italiana, che “Milan-Fiorentina è stata una partita orrenda”: forse da eleggere a simbolo della mediocrità del nostro campionato. Ma dico anche di Malagò, presidente del Coni, e di Tavecchio, presidente della Federcalcio, che da ieri sono in fibrillazione per le Giunte Coni e il relativo Consiglio Nazionale, dove si deciderà la spartizione dei soldi pubblici tra le Federazioni. Il calcio rischia seriamente per la prima volta tagli grossi e questo preoccupa assai. E’ aperto il negoziato, più probabilmente il contenzioso tra la Federazione delle Federazioni, responsabile da un secolo dello sport in Italia, e la Federazione con più tesserati, più movimento alle spalle e ai lati, più denaro, più contenuto politico (per mille motivi) in confronto a tutte le altre discipline.

In coda al prospetto della due giorni al Palazzo H, tanto ma tanto mussoliniano per celebrare i fasci muscolari, pare ci sia una buona notizia per la Rotondocrazia: due banche, Bnl e Unipol, si aggiungono agli sponsor della Federcalcio. Così, tanto per gradire e per farci sapere dove finiscono parte dei nostri soldi, quelli famosi del percorso tasse-spending review-BCE-banche italiane: lo stress test non è per gli istituti di credito, bensì per noi, anche per noi calciomani. Ma perché suggerivo il lato comico e paradossale della situazione? Perché sempre e solo di soldi si finisce di parlare, sia per analizzare il paragone tra ciò che si vede in Italia e invece spettacoli come il “clasico” iberico tra Real e Barcellona, o la sfida tra Manchester United e Chelsea, sia per sminuzzare la politica sportiva di cui ci si occupa intermittentemente solo per le poltrone.
Oggi infatti, a maggior ragione in tempi di crisi, chiedersi qual è la politica sportiva del nostro Paese fa il paio con le domande sulla politica industriale , o sul lavoro. E’ tutto generico, indistinto, misconosciuto. L’importante è presidiare il territorio, anche se è in piena desertificazione.

Ritornando a Boban, vivaddio le spara come le sente, ed è perfino imbarazzante ascoltare nei commenti postumi il sempre più callido e con sempre meno punti Vincenzino Montella affermare con un  lieve sorriso che “la Fiorentina ha fatto una grossa prestazione”. Si capisce che pari i colpi, meno che voglia strafare con le parole dopo una partita strafatta. Ma ovviamente il discorso riguarda un po’ tutto il sistema-calcio. Si gioca male, e direi soprattutto si gioca a ritmi inqualificabili specie se rapportati con qualunque incontro anche solo medio dei campionati già citati. E per giocare così, con una blandizie quasi commovente perché rende inutile la moviola essendo già tutto in registrata, il campionato italiano fa incetta di giocatori stranieri, riuscendo a impoverire i vivai, a snaturare gli ambienti calciofili, a contribuire pesantemente al disarmo della Nazionale, il cui penultimo Ct, Cesare Prandelli, rischia la cacciata anche in Turchia, dal Galatasaray. Tutto questo avviene da tempo, ma la novità di queste settimane è forse che siamo al capolinea e si è costretti a rendersene conto.

Meno soldi al calcio è addirittura una vox popolare, facile da sostenere, anche per un passato remoto non impareggiabile come Malagò: di fronte a ciò che si vede anche il tifoso più bue si ritrova a pensare che il pallone è sgonfio e il tifo, magari anche solo per disperazione in mancanza d’altro, davvero sprecato. Aleggia dunque almeno un quesito (la faccio semplice, avete già da pensare a Renzi, la Camusso, la Boschi, il Civati): perché vanno tutti così piano, da che cosa dipende? Perché in Spagna, ma soprattutto in Inghilterra e in Germania si corre tanto di più? Si allenano meglio? Hanno un’altra mentalità? Non fanno calcoli? E’ anche questo un risvolto di cultura sportiva applicata che non abbiamo? E’ forse sbagliato il percorso, il processo che porta a giocare in serie A, per cui come alla Rai o negli Enti pubblici si sentono tutti tremendamente precari e stimolati finché non hanno il posto fisso, e poi smettono di lavorare “avendo già dato”? Ovverosia  i nostri baldi in calzoncini hanno già dato il meglio al momento di firmare i loro contratti milionari? E compriamo stranieri a gogò perché costano meno, perché intaschiamo più agevolmente il “nero” oppure perché fa scena il nome?

A proposito di nomi, uno per delle risposte in positivo, per dare una sterzata alle due facce filigranate e bancarottiere del calcio in campo e in società, a dire il vero ce l’avrei: Zeman, che va dritto per la sua strada e non ha mai dirazzato in fatto di etica e di serietà (anche se le sue difese uno contro uno continuano a mettere tatticamente i brividi…) . Se è troppo maturo per allenare, perché non si candida a Presidente (del Coni, della Federcalcio, della Lega ecc.)?

Oliviero Beha, Il Fatto Quotidiano


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